VINCITORE PREMIO T YOUNG CLAUDIO DE ALBERTIS
Simone Gobbo
Bivacco F.lli Fanton
MARMAROLE, BELLUNO, ITALIA
2015 – IN COSTRUZIONE
Dalle didascalie della mostra in Triennale:
Crediti: Simone Gobbo, Alberto Mottola, Davide De Marchi
Studio di architettura: DEMOGO
Rendering: SFSight Visual
Fotografie: Pietro Savorelli
Le Marmarole sono una catena montuosa selvaggia e impervia, la forcella dove si posiziona l’opera è uno spazio sconfinato a 2670 metri, un contesto fatto di roccia, luce, vento, neve e distanze. L’architettura in alta quota assume un significato estremo, ogni cosa sembra espandersi nella percezione dello spazio esteso. Emotivamente emergono istanze opposte come il desiderio di esplorare e muovere in questo spazio dilatato e il bisogno di proteggersi e rifugiarsi, di ritrovare una dimensione umana.
Il Bivacco Fanton è un progetto di proporzioni tra assoluto e misura, un’opera minuta che trova una sua dimensione nella possibilità dell’amplificazione percettiva; abitarla significa porsi tra le lenti di un cannocchiale, è il tentativo di inquadrare lo spazio, circoscriverlo renderlo opera di connessione tra uomo e ambiente, definire una cesura capace di trovare un confine provvisorio al paesaggio, una forma di compressione progressiva di rocce, luce, vento e neve. Si tratta di un equilibrio instabile, che si sostanzia nello spazio interno dell’opera: un ventre ligneo che attutisce l’impatto della natura selvaggia, poi la fibra di vetro a inspessirsi strato su strato, come una seconda pelle a divenire guscio e struttura insieme.
Esternamente il suo aspetto formale assume i tratti di un volume sbozzato sospeso su di un crinale irto, un corpo in attesa proteso nel vuoto, intento ad aprire una dimensione spaziale al di là dalla propria geometria interna. Misurare se stessi, misurare spazio, perdere se stessi, perdere dimensione spaziale, trovare un habitat proprio, resistere, flettersi, ancorarsi, variare percezione, estendersi al di fuori, inclinarsi, reagire, accumulare dilatazioni e contrazioni, farsi elitrasportare, scomparire nella neve, essere spazzati dal vento, adattandosi come in un corpo sottoposto all’alta quota, divenire architettura e cessare di esserlo schiacciata nella grandezza di un paesaggio assoluto.